24 giugno 2012

Italo Calvino - Se una notte d'inverno un viaggiatore

Autore: Italo Calvino
Titolo: Se una notte d'inverno un viaggiatore
Anno: 1979
Casa Editrice: Mondadori
Pp: 304
Genere: Narrativa classica










Come avevo accennato in questo post, ultimamente sono dedito a leggere i vari capitoli della saga Le cronache del ghiaccio e del fuoco, e quindi vi starete chiedendo come mai ora parlo di questo libro. Beh, semplicemente perchè mentre attendevo di poter leggere il terzo episodio, che era in mano a Miss Hyde, mi sono concesso di leggere questo romanzo. O meglio, rileggere, perchè già lo feci un pò di anni fa.
Premetto subito che Calvino è uno dei miei autori preferiti, sebbene non abbia letto tutto di lui ancora, ma una consistente parte. Il romanzo del '79 è, pertanto, una delle massime opere dell'autore, e forse uno dei migliori libri della letteratura moderna (e forse anche post-moderna, dato che in un certo qualmodo la introduce) mai concepiti. Eviterò riassunti e una critica approfondita e teorica, credo che ne siano state fatte già abbastanza. Semplicemente dirò quello che mi viene pensando al romanzo.
Personalmente reputo Se una notte d'inverno un viaggiatore un romanzo che segna inevitabilmente la fine di un periodo in cui la letteratura era esclusivamente opera di cultura. D'altronde siamo negli anni in cui il libro diventa una merce, e non più prodotto d'èlite, entra nel processo mass-mediologico e quindi si sa... parliamo un pò di morte della cultura. Ovviamente con questo non voglio assolutamente dire che al giorno d'oggi non si scrivono più opere di alto valore, ma la letteratura d'evasione, per chiamarla con un termine gentile, inizia a dettare le regole non solo di mercato, ma anche di scrittura. Vendere, vendere e vendere. A costo di sacrificare la cultura genuina,  le storie buone. Ci sono tantissimi scrittori odierni che meritano davvero, semplicemente quello che voglio dire è che non si produce più esclusivamente una letteratura alta (bisogna dire anche per fortuna, delle volte) come era anni fa. Ecco, penso che Calvino aveva percepito che questo cambiamento era in atto e in un certo qual modo lo aveva trasposto proprio sottoforma di... romanzo.
Erano cambiati i gusti di lettura, gli scopi della lettura, il valore stesso della lettura... e questo da un lato metteva in crisi alcuni scrittori. Come non capirlo dalle parole di Silas Flannery, alter-ego di Calvino? Tormentato dai nuovi gusti del pubblico, e soprattutto dalle sue aspettative, come anche quelle della casa editrice d'altronde, Silas Calvino dice che:

"I lettori sono i miei vampiri. Sento una folla di lettori che sporgono lo sguardo sopra le mie spalle e s'appropriano delle parole man mano che si depositano sul foglio. Non sono capace di scrivere se c'è qualcuno che mi guarda: sento che ciò che scrivo non m'appartiene più."

O semplicemente il mini-progetto di racconto che vede protagonisti lo scrittore produttivo e quello tormentato. La peculiarità di Calvino è che sa raccontare le sue sensazioni senza renderle personalmente proprie, ma facendo sì che tutti ci sentiamo parte di esse (vedi Marcovaldo o Il barone rampante), non che esse facciano parte di noi, attenzione. E' una bella differenza.
Ma allora come può fare per concludere un romanzo che sia un buon romanzo? Deve conoscere i meccanismi e il fine ultimo della lettura. E sono molteplici, lo dirà chiaramente a fine racconto, quando diverse tipologie di lettore iniziano a confrontarsi tra loro, finchè Tu, il Lettore di Se una notte d'inverno un viaggiatore, non capisci che tutte le modalità di lettura possono intrecciarsi, e creare qualcosa di unico. Calvino questo lo aveva capito e quando nel libro, attraverso le parole del "settimo lettore", asserisce che:
  
"Il senso ultimo a cui rimandano tutti i racconti ha due facce: la continuità della vita, l'inevitabilità della morte."

credo che in realtà lui voglia che un libro vada oltre questo senso ultimo. Vuole appunto la continuità della vita del racconto, ma che vada oltre l'inevitabilità della morte. Della sua morte, della sua fine. Perchè un racconto, anche nella sua compiutezza è aperto ad ogni interpretazione. All'interpretazione di ognuno di noi. E sono queste interpretazioni a costituire la vita di un racconto, di un libro, romanzo. Calvino ci ha provato, ha provato a rendere un racconto interattivo, per questo i suoi dieci incipit di romanzo non sono conclusi. Perchè sì, da un lato vogliono offrire le diverse modalità di lettura, ma dall'altro vogliono che siamo noi a proseguirli con l'immaginazione, rendendoli sempre infiniti. E l'autore, paradossalmente, li fa cozzare contro il finale classico, scontato, compiuto della storia del Lettore e la Lettrice . 
Dico ci ha provato perchè per molti ci è riuscito, per altri no. A me interessa credere che Calvino auspicava, altresì, che il racconto dovesse andare oltre la sua fine, la sua morte, che riconducesse ad una nozione più ampia. E che con la parola racconto, in realtà volesse dire un'altra cosa. Desiderava che non si ponesse mai fine alla... Letteratura.





Dr. Jekyll

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