7 giugno 2012

Why so serious?




Non saprei nemmeno come cominciare a dire il vero. Questo periodo di intenso studio sta un po’ annichilendo i miei altri impegni o semplicemente passioni. Ho poco tempo per leggere. Anzi ne approfitto per comunicarvi che sto leggendo il secondo libro  de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, Il Grande Inverno, molto a rallentatore. Dopo di questo leggerò i due libri successivi, perché prima di vedere la serie televisiva voglio avere la base scritta che, si sa, è sempre meglio. Per questo motivo passerà un po’ di tempo prima che esprima un qualche mio pensiero su un libro in genere, a meno che non riscopro qualche mia vecchia lettura di cui mi andrà di parlare.
Credo che parlerò qui con gli occhi di un ragazzo incantato e disincantato, un immaginario realistico e sognatore. Non credo che il mio pensiero avrà un filo logico, a dire il vero credo che non saprò nemmeno di cosa parlerò precisamente. Semplicemente parlerò. O, meglio, scriverò. Già, perché spesso scrivere aiuta a pensare. Anzi la scrittura è un estensione del nostro cervello, del nostro pensiero. E si sa il pensiero può essere disarticolato, non lineare, di larghe o minime vedute. Di conseguenza lo spazio dello scrivere permette a noi di trasporre diverse linee di pensiero, non necessariamente interconnesse. Anche se fisicamente non lo è, ciò che scriverò vorrei che fosse inteso come un dialogo interattivo con chi legge. Perché spero che diverse saranno le interpretazioni, emozioni e reazioni che una scrittura (in questo caso il mio prossimo pensiero) può suscitare.
Ultimamente sono pervaso da un senso di insoddisfazione. Per una serie di cose. Probabilmente la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il fatto che lunedì ho tenuto un esame e non è andata come speravo. L’esame in questione era relativamente semplice, ma non per questo l’ho preso sotto gamba, anzi ho approfondito e mi sono concentrato molto per studiare. Verteva su Caravaggio. La sua vita, le sue tecniche, i suoi rapporti con i potenti, le sue innovazioni, pensieri, credi… tutto. Ho approfondito con documentari video, grazie a Youtube, e altre letture. Come è andato poi l’esame?, vi starete chiedendo. Il voto è stato ottimo, ma mi aspettavo di più. Perché? Perché mi è stata fatta una sola domanda di teoria, il resto è stato una serie di domande tutte uguali. Questa: in che anno ha dipinto questo quadro? Ora, capisco che la vita del pittore sia stata relativamente breve (39 anni), ma la mole di opere non è minima: si tratta di almeno 86 fonti (stando a quanto ho studiato). Mi chiedo a che serva sapere la datazione delle opere a memoria. Si possono inquadrare nel periodo, ma pretendere l’anno a memoria che senso ha? E’ vero che un esame del genere nel mio piano di studi (mi sto specializzando in editoria libraria n.b.) non sia fondamentale, però è il principio. A cosa serve? E’ così importante tanto da mettere in ombra ad esempio il fatto che Merisi fondava la sua concezione religiosa sulla chiesa primitiva antica? Non capisco. Insomma da questo fatto scaturisce questa mia riflessione.
Il punto è che le cose non vanno sempre come vorremmo. Di questo è bene esserne consapevoli, altrimenti la disillusione può essere molto, molto amara. Viviamo in una società piena di illusioni, promesse non mantenute, crisi di pensiero. Una società che fa marcia indietro, come se il prezzo dell’evoluzione sia l’involuzione. La regressione che stiamo vivendo mette perfettamente in luce quanto l'unica grande legge della natura sia vera: il più forte schiaccia il più debole. Nel passato il più forte era il colto che con la sua astuzia riusciva a sottomettere il più debole o colui che riusciva a imporsi con la brutalità e la prestanza fisica. Giù di lì, insomma. Ma oggi? Chi è il “più forte” nel mondo odierno? Ve lo dico io: il ricco. Il potente. Colui che ha soldi. Può essere cerebroleso o anche intellettualoide, ma è il ricco. E cosa ha giocato in suo favore? Può essere l’eredità, la discendenza, il nome… ma soprattutto è la fortuna e il caso. Intendiamoci, essere ricchi non vuol dire esser per forza il più forte. Gli attori, i musicisti, gli scrittori, i proprietari di grandi case editrici o di distribuzione e via dicendo sono ricchi. Ma non per forza sono forti. Il concetto di forza riguarda colui che schiaccia il più debole. Da un lato questi elementi lo fanno, un grande produttore schiaccia uno di nicchia; ha visto giusto o anche lui ha avuto fortuna a vedere giusto. Ma non per forza questo è schiacciare, semplicemente è concorrenza, una corsa verso un obiettivo, sia esso il guadagno o il conseguimento di un qualcosa di bello, importante per tutti, o tutti e due. Non fa male, perché cercano di dare qualcosa di decente agli altri, senza tenerlo per sé. Bill Gates non ha creato Microsoft per tenerselo in casa. Ciò che fa davvero male è il forte che approfitta del suo fattore per il bene di se stesso, con sotterfugi, col silenzio, dando a bere idiozie che possano essere credibili a giustificare ciò che fa… Tutto questo a spese del più debole. E’ un dannato succhiasangue parassita che sulla moltitudine di chi non ce la fa fonda la sua vita e il suo godimento. E’ da biasimare? Sono sicuro che se anche uno di noi fosse un elemento del genere non si farebbe problemi, affatto. Anch’esso rimarrebbe nel suo silenzio a trastullarsi nella sua vita, incurante delle sofferenze altrui. Egoismo. E’ la parola fondante della nostra società. Anzi proporrei di impostarla come sinonimo di “società”. Immaginate un telegiornale: “il ministro X ha avanzato una proposta di legge per risollevare le sorti del nostro egoismo…..”, “oggi l’egoismo pullula di amanti dei viaggi…”, “grazie a facebook, il famoso egoism network, le persone….”. Dai, ci starebbe. Non sto facendo di tutta un’erba un fascio, assolutamente. Ma guardiamo in faccia la realtà. Quanti di noi intendono ancora la società in termini di comunità, fratellanza, unione? No, oggi conta il singolo. Conta scalare la societ… pardon, egoismo!, mettendo i piedi in testa agli altri. Ripeto, ci sono le eccezioni e se non ci fossero sarebbe davvero triste.
Viviamo in un egoismo in cui un libro che parla di una ragazzina rimbambita che ama un vampiro sbrilluccicante e complessato è considerato oggetto di cultura, ci fanno un film e vince diversi premi. Viviamo in un egoismo in cui si comunica con disegni perché non si sa più essere personali. Viviamo in un egoismo in cui sul bus si gira la testa, alzando il volume dell’mp3 al massimo, pur di non cedere il posto ad un anziano. Viviamo in un egoismo in cui per fare delle analisi del sangue, per la nostra salute, ci chiedono così tanti soldi che il nostro sangue ce lo ritroviamo in un letto d’ospedale, in fin di vita, qualche tempo dopo. Viviamo in un egoismo in cui ci sono falsi predicatori, che non sono disposti nemmeno a rinunciare a un anello d’oro per seguire anche una minima parola di ciò che professano. Viviamo in un egoismo in cui uomini assassini vengono condannati a grosse pene mentre uomini che conducono migliaia di famiglie sul lastrico e le conducono alla fame vivono liberi. Viviamo in un egoismo in cui opportunisti sfruttano altri opportunisti, sorridendosi in faccia, all’insegna dell’ipocrisia. Viviamo in un egoismo in cui per avere un’opportunità  sei costretto a rinunciare all’unica cosa a cui tieni veramente, perché altri non sono disposti a fare sacrifici. Viviamo in un egoismo in cui su una disgrazia altrui si crea una serie di leggende derisorie, comicità patetiche, falsi monumenti denigratori.
Probabilmente sono stato catastrofico, ma questa è la realtà dei fatti. Inutile girarci intorno o nascondersi dietro falsi pensieri. Sarò stato troppo serio, cupamente serio…
Però. C’è un però. Ci sono dei motivi che spingono ad andare avanti, a essere sempre felice, a voler bene alle persone a cui teniamo e che meritano, o anche se non lo meritano, a guardare sempre le cose in positivo, a non pensare alle brutture dell’egoismo in cui viviamo. I motivi sono diversi e soggettivi, dallo scodinzolare di un cane al sorriso della propria ragazza, dal proprio hobby alla realizzazione di un piccolo sogno, qualsiasi cosa.
E sono sicuro (voglio sperare di essere sicuro), che tutte le storture, ingiustizie, cattiverie, ipocrisie, brutture, macchie di oggi siano solo di passaggio. Perché le cicatrici servono a qualcosa, servono a ricordare. E su di esse ricresce una pelle nuova, e, anche se rimangono ben in vista… beh sappiamo che sono dei moniti, sappiamo che non dobbiamo ripetere quegli errori per cui ce le siamo fatte. E concludo con una citazione tratta da un film, in cui un uomo ha delle cicatrici intorno alla bocca.

“Ora ne vedo il lato buffo. Ora sorrido sempre!”.

Spero che in futuro tutti noi possiamo davvero sorridere, dopo questi duri momenti.

Dr. Jekyll

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