Non saprei nemmeno come cominciare a dire il vero. Questo
periodo di intenso studio sta un po’ annichilendo i miei altri impegni o
semplicemente passioni. Ho poco tempo per leggere. Anzi ne approfitto per
comunicarvi che sto leggendo il secondo libro
de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, Il Grande Inverno, molto a
rallentatore. Dopo di questo leggerò i due libri successivi, perché prima di
vedere la serie televisiva voglio avere la base scritta che, si sa, è sempre
meglio. Per questo motivo passerà un po’ di tempo prima che esprima un qualche
mio pensiero su un libro in genere, a meno che non riscopro qualche mia vecchia
lettura di cui mi andrà di parlare.
Credo che parlerò qui con gli occhi di un ragazzo incantato
e disincantato, un immaginario realistico e sognatore. Non credo che il mio
pensiero avrà un filo logico, a dire il vero credo che non saprò nemmeno di
cosa parlerò precisamente. Semplicemente parlerò. O, meglio, scriverò. Già,
perché spesso scrivere aiuta a pensare. Anzi la scrittura è un estensione del
nostro cervello, del nostro pensiero. E si sa il pensiero può essere
disarticolato, non lineare, di larghe o minime vedute. Di conseguenza lo spazio
dello scrivere permette a noi di trasporre diverse linee di pensiero, non
necessariamente interconnesse. Anche se fisicamente non lo è, ciò che scriverò
vorrei che fosse inteso come un dialogo interattivo con chi legge. Perché spero
che diverse saranno le interpretazioni, emozioni e reazioni che una scrittura
(in questo caso il mio prossimo pensiero) può suscitare.
Ultimamente sono pervaso da un senso di insoddisfazione. Per
una serie di cose. Probabilmente la goccia che ha fatto traboccare il vaso è
stato il fatto che lunedì ho tenuto un esame e non è andata come speravo.
L’esame in questione era relativamente semplice, ma non per questo l’ho preso
sotto gamba, anzi ho approfondito e mi sono concentrato molto per studiare.
Verteva su Caravaggio. La sua vita, le sue tecniche, i suoi rapporti con i
potenti, le sue innovazioni, pensieri, credi… tutto. Ho approfondito con
documentari video, grazie a Youtube, e altre letture. Come è andato poi
l’esame?, vi starete chiedendo. Il voto è stato ottimo, ma mi aspettavo di più.
Perché? Perché mi è stata fatta una sola domanda di teoria, il resto è stato
una serie di domande tutte uguali. Questa: in che anno ha dipinto questo
quadro? Ora, capisco che la vita del pittore sia stata relativamente breve (39
anni), ma la mole di opere non è minima: si tratta di almeno 86 fonti (stando a
quanto ho studiato). Mi chiedo a che serva sapere la datazione delle opere a
memoria. Si possono inquadrare nel periodo, ma pretendere l’anno a memoria che
senso ha? E’ vero che un esame del genere nel mio piano di studi (mi sto
specializzando in editoria libraria n.b.) non sia fondamentale, però è il
principio. A cosa serve? E’ così importante tanto da mettere in ombra ad
esempio il fatto che Merisi fondava la sua concezione religiosa sulla chiesa
primitiva antica? Non capisco. Insomma da questo fatto scaturisce questa mia
riflessione.
Il punto è che le cose non vanno sempre come vorremmo. Di
questo è bene esserne consapevoli, altrimenti la disillusione può essere molto,
molto amara. Viviamo in una società piena di illusioni, promesse non mantenute,
crisi di pensiero. Una società che fa marcia indietro, come se il prezzo dell’evoluzione
sia l’involuzione. La regressione che stiamo vivendo mette perfettamente in
luce quanto l'unica grande legge della natura sia vera: il più forte schiaccia il più
debole. Nel passato il più forte era il colto che con la sua astuzia riusciva a
sottomettere il più debole o colui che riusciva a imporsi con la brutalità e la
prestanza fisica. Giù di lì, insomma. Ma oggi? Chi è il “più forte” nel mondo
odierno? Ve lo dico io: il ricco. Il potente. Colui che ha soldi. Può essere
cerebroleso o anche intellettualoide, ma è il ricco. E cosa ha giocato in suo
favore? Può essere l’eredità, la discendenza, il nome… ma soprattutto è la
fortuna e il caso. Intendiamoci, essere ricchi non vuol dire esser per forza il
più forte. Gli attori, i musicisti, gli scrittori, i proprietari di grandi case
editrici o di distribuzione e via dicendo sono ricchi. Ma non per forza sono
forti. Il concetto di forza riguarda colui che schiaccia il più debole. Da un
lato questi elementi lo fanno, un grande produttore schiaccia uno di nicchia;
ha visto giusto o anche lui ha avuto fortuna a vedere giusto. Ma non per forza
questo è schiacciare, semplicemente è concorrenza, una corsa verso un
obiettivo, sia esso il guadagno o il conseguimento di un qualcosa di bello,
importante per tutti, o tutti e due. Non fa male, perché cercano di dare
qualcosa di decente agli altri, senza tenerlo per sé. Bill Gates non ha creato
Microsoft per tenerselo in casa. Ciò che fa davvero male è il forte che
approfitta del suo fattore per il bene di se stesso, con sotterfugi, col
silenzio, dando a bere idiozie che possano essere credibili a giustificare ciò
che fa… Tutto questo a spese del più debole. E’ un dannato succhiasangue parassita
che sulla moltitudine di chi non ce la fa fonda la sua vita e il suo godimento.
E’ da biasimare? Sono sicuro che se anche uno di noi fosse un elemento del
genere non si farebbe problemi, affatto. Anch’esso rimarrebbe nel suo silenzio
a trastullarsi nella sua vita, incurante delle sofferenze altrui. Egoismo. E’
la parola fondante della nostra società. Anzi proporrei di impostarla come
sinonimo di “società”. Immaginate un telegiornale: “il ministro X ha avanzato
una proposta di legge per risollevare le sorti del nostro egoismo…..”, “oggi l’egoismo
pullula di amanti dei viaggi…”, “grazie a facebook, il famoso egoism network,
le persone….”. Dai, ci starebbe. Non sto facendo di tutta un’erba un fascio,
assolutamente. Ma guardiamo in faccia la realtà. Quanti di noi intendono ancora
la società in termini di comunità, fratellanza, unione? No, oggi conta il
singolo. Conta scalare la societ… pardon, egoismo!, mettendo i piedi in testa
agli altri. Ripeto, ci sono le eccezioni e se non ci fossero sarebbe davvero
triste.
Viviamo in un egoismo in cui un libro che parla di una
ragazzina rimbambita che ama un vampiro sbrilluccicante e complessato è
considerato oggetto di cultura, ci fanno un film e vince diversi premi. Viviamo
in un egoismo in cui si comunica con disegni perché non si sa più essere
personali. Viviamo in un egoismo in cui sul bus si gira la testa, alzando il
volume dell’mp3 al massimo, pur di non cedere il posto ad un anziano. Viviamo
in un egoismo in cui per fare delle analisi del sangue, per la nostra salute,
ci chiedono così tanti soldi che il nostro sangue ce lo ritroviamo in un letto
d’ospedale, in fin di vita, qualche tempo dopo. Viviamo in un egoismo in cui ci
sono falsi predicatori, che non sono disposti nemmeno a rinunciare a un anello
d’oro per seguire anche una minima parola di ciò che professano. Viviamo in un
egoismo in cui uomini assassini vengono condannati a grosse pene mentre uomini
che conducono migliaia di famiglie sul lastrico e le conducono alla fame vivono
liberi. Viviamo in un egoismo in cui opportunisti sfruttano altri opportunisti,
sorridendosi in faccia, all’insegna dell’ipocrisia. Viviamo in un egoismo in
cui per avere un’opportunità sei
costretto a rinunciare all’unica cosa a cui tieni veramente, perché altri non
sono disposti a fare sacrifici. Viviamo in un egoismo in cui su una disgrazia
altrui si crea una serie di leggende derisorie, comicità patetiche, falsi
monumenti denigratori.
Probabilmente sono stato catastrofico, ma questa è la realtà
dei fatti. Inutile girarci intorno o nascondersi dietro falsi pensieri. Sarò
stato troppo serio, cupamente serio…
Però. C’è un però. Ci sono dei motivi che spingono ad andare
avanti, a essere sempre felice, a voler bene alle persone a cui teniamo e che
meritano, o anche se non lo meritano, a guardare sempre le cose in positivo, a
non pensare alle brutture dell’egoismo in cui viviamo. I motivi sono diversi e
soggettivi, dallo scodinzolare di un cane al sorriso della propria ragazza, dal
proprio hobby alla realizzazione di un piccolo sogno, qualsiasi cosa.
E sono sicuro (voglio sperare di essere sicuro), che tutte
le storture, ingiustizie, cattiverie, ipocrisie, brutture, macchie di oggi
siano solo di passaggio. Perché le cicatrici servono a qualcosa, servono a
ricordare. E su di esse ricresce una pelle nuova, e, anche se rimangono ben in
vista… beh sappiamo che sono dei moniti, sappiamo che non dobbiamo ripetere
quegli errori per cui ce le siamo fatte. E concludo con una citazione tratta da
un film, in cui un uomo ha delle cicatrici intorno alla bocca.
“Ora ne vedo il lato buffo. Ora sorrido sempre!”.
Spero che in futuro tutti noi possiamo davvero sorridere,
dopo questi duri momenti.
Dr. Jekyll
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